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Black silhouette of an ivy branch
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Sei curioso di avere qualche anticipazione su Kári,

il quarto

e conclusivo volume della

The Crimson Thrones Series?


Continua a leggere e troverai il primo capitolo

in esclusiva!


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PANORAMICA

TITOLO: Kári

AUTRICE: Monica B.

SERIE: The Crimson Thrones #IV

DATA DI USCITA: 1° settembre

GENERE: paranormal romance, music romance, STEM

LINK ACQUISTO: https://amzn.to/3WMp4N3


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TRAMA

Kári, gigante norreno del vento, non si è mai guardato indietro da quando il suo Pantheon gli ha voltato le spalle, preferendo vivere tra gli umani come cantante di una rock band conosciuta a livello mondiale.

Partecipare al torneo che lo vede come uno dei Quattro Divini Re in grado di salvare il mondo è solo un vanto in più al suo curriculum. Peccato che lui non abbia nessuna intenzione di rischiare la vita per gli altri, mortali o meno.

Cora Ivanova è un geofisico pluripremiato e la sua vita gira attorno alla sua carriera. Negare tutto ciò che è paranormale è per lei una legge inviolabile, finché il mondo che conosce non viene minacciato proprio da ciò che lei crede impossibile.

Fidarsi del gigante norreno piombato nel suo ufficio sarà l’unica soluzione per salvare ciò che ama e ciò in cui crede. Riusciranno i due a mettere da parte le loro diffidenze per salvare il mondo?


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capitolo 1

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L’aria era tesa.

Le vibrazioni del basso riempivano ancora l’arena mentre la mia voce scemava sulle ultime note.

Respirai a fondo, assaporando con tutto me stesso quell’istante tra la fine della melodia e lo scoppio delle grida. Quel momento in cui il silenzio regna sovrano in modo assordante.

Nemmeno questa volta si fece attendere.

L’assenza di suoni fu presto soffocata dall’urlo improvviso di centinaia, migliaia di fan che riempivano lo Scotiabank Saddledome di Calgary.

Respirai a fondo e mi sentii completamente appagato.

Quella era la mia vita.

Alcol, sesso e rock’n’roll.

«Grazie, Calgary» urlai con la mia voce penetrante.

Un ululato ancor più assordante mi venne incontro in risposta.

Avevo già adocchiato all’inizio del concerto una o due groupie da portarmi in camerino e le avevo indicate al mio fedele Roger, colui che si occupava di noi ragazzi e dei nostri capricci. Quindi sapevo che il divertimento, in un certo senso, era appena cominciato.

Mi ritirai nell’ombra, mentre la moltitudine di fan ancora osannava il nostro nome.


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Eravamo i Beyond Gods, una delle rock band canadesi più conosciute dal mondo moderno. L’idea era nata una sera di tanto tempo fa, mentre, strafatto di figa e alcol, mi ero ritrovato a farneticare su quanto odiassi gli “esseri” divini. Avevo avuto la fortuna, o sfortuna, di confidarle a Tucker, il miglior bassista in circolazione. Da lì avevamo messo su un gruppo che comprendeva, oltre a noi due, anche Paul, Mick e Stan, rispettivamente il tastierista, il chitarrista e il batterista.

Cinque sfigati che ora venivano venerati come dèi, e che dèi.

Volai giù per le scalette che separavano il palco dal backstage. Afferrai al volo l’asciugamano che Roger mi stava porgendo e mi fiondai lungo il corridoio in penombra, lasciandomi dietro i miei compari e le loro risa di scherno.

Sapevano benissimo dove ero diretto.

Varcai la soglia del camerino barcollando in preda all’adrenalina. Due passi nella stanza e delle manine curate mi tirarono definitivamente dentro afferrandomi per la cintura dei pantaloni.

Labbra impetuose si fiondarono sul mio collo, mordendolo.

Sentii il cazzo risvegliarsi nei pantaloni in risposta all’odore della bambola bionda che mi si era appiccicata addosso. Senza nemmeno guardare chi fosse – tra le due che avevo indicato a Roger – la costrinsi a indietreggiare fino ad arrivare alla consolle del trucco, l’afferrai sotto i glutei e la spinsi sul ripiano facendomi spazio tra le sue gambe.

«Sei stato grande lì sopra» miagolò.

«Lo so» risposi senza falsa modestia.

Forse non ero degno di essere un dio norreno, ma sul palco era proprio ciò che mi sentivo.

Tirai con forza il tessuto del top striminzito che indossava e planai con le mani sui suoi seni plastificati. Fingere che fossero veri non mi disturbava. Ero da sempre stato circondato da persone false, due tette ben fatte, seppur finte, non mi avrebbero di certo turbato.

La donna si agitò sotto il mio tocco e tirò fuori un urlo da Valchiria quando passai le dita sui capezzoli. La sua reazione esagerata non smorzò l’ardore del mio cazzo, che ancora premeva per uscire dai pantaloni.




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Benvenuto!

Sostituii la bocca alle mani, che andarono verso il basso fino a infilarsi sulla gonna inguinale rosa shocking della groupie.

Sorpresa, non indossava le mutandine!

Lasciando che squittisse sempre più forte, presi ad accarezzarla. Era già bagnata e pronta per me, come d’altronde lo erano tutte.

Spinsi un dito dentro la sua apertura giocando con il suo corpo. Un paio di stoccate e la donna venne nelle mie mani.

Avevo compiuto il mio dovere. Ora veniva il mio divertimento.

Staccai le dita da lei e tirai giù la cerniera dei pantaloni, spingendo il tessuto verso il basso. Il cazzo balzò fuori ergendosi in tutto il suo ardore. Lo afferrai alla base e lo avvicinai all’apertura bollente della donna, che mi arpionò le spalle per tirarmi più a sé.

Una voce irritante riempì l’ambiente.

«Non smetto mai di sorprendermi di quanto sia facile beccarti con le braghe calate.»

Tutta la libido che avevo avvertito fino a quel momento scemò fino a svanire nel nulla. Mi staccai bruscamente dalla bionda, la quale, con un verso imbarazzato, si affrettò a risollevare il top sul seno e a chiudere le gambe.

«Dovresti prendere un appuntamento, così non ti ritroveresti in situazioni come queste» affermai voltandomi verso Mjol, la mia dolce e saccente pronipote, una maga temuta e conosciuta in tutto il Pantheon norreno.

Era la mia diretta discendente a causa di Jokul, il mio secondogenito. Non pensavo spesso a lui, né a Frosti, il mio primo figlio, colui con cui non parlavo da quando mi aveva voltato le spalle dopo che ero stato invitato ad abbandonare il Pantheon. Mjol non aveva seguito le orme della famiglia e aveva scelto di mantenere i rapporti con me.

Era una totale spina nel fianco, ma, anche a causa delle sue scelte, aveva tutto il mio rispetto.

Osservai la donna che mi era comparsa di fronte. I capelli biondi erano riuniti in ciocche rasta che si sollevavano dalla testa in una coda elaborata. Un grande piercing ad anello le ornava il naso rendendo il volto meno affettato. Gli occhi chiari, quasi trasparenti, erano truccati di nero e conferivano al suo sguardo maggiore profondità. Una lunga veste gitana le scivolava lungo il corpo fino ai piedi.


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Benvenuto!

Era l’incarnazione della perfezione, al contrario di me, che ero tutto sudato e mezzo nudo.

«Pensi che ostentare il tuo uccello mi faccia scappare via?» domandò lei con un sopracciglio sollevato.

«Non lo so, funziona?» domandai insolente, mettendomi le mani sui fianchi.

«La tua sfrontatezza non ha limiti» borbottò.

«Che cosa vuoi, Mjol?»

«Dobbiamo parlare.»

«Fallo» la spronai, rivolgendole un cenno con la mano. Valutai per un attimo di restare con l’uccello di fuori solo per darle fastidio, poi, spinto da un impulso di pudicizia, lo spinsi nei pantaloni stando attento a non farlo capitare tra i dentini della cerniera lampo.

«La tua amica è di troppo.»

«Sei tu a essere di troppo, non ti sembra?»

«Esci» ordinò Mjol alla biondina dietro di me, lasciandomi intendere che le mie parole erano state vane.

La donna non si mosse, forse troppo sorpresa che le fosse stata rivolta la parola.

La mia dolce pronipote non sembrava all’apparenza una creatura di cui avere paura, ma il suo tono di superiorità e la sua aura di saggezza e potere le conferivano quella marcia in più per spaventare anche il peggiore malfattore, figuriamoci una groupie senza cervello.

«Esci» ripeté con forza Mjol, tanto da spingere la biondina a scappare fuori dalla stanza senza nemmeno rivolgermi un cenno di saluto.

Ed ecco che la mia scopata post concerto andava a monte.

Sbuffando mi avvicinai al frigo bar e tirai fuori una bottiglietta di vodka. Fuoco liquido, proprio quello di cui avevo bisogno.

«A cosa devo il piacere della tua visita?» chiesi ironico, tracannando l’alcol che mi bruciò la gola.

«Lo sai» rispose lei battendo il piede a terra.

«Se sei venuta per farmi la predica puoi anche andartene.»

«Stai lasciando che quelli del Pantheon parlino ancora.»



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Benvenuto!

«E allora lasciali parlare» ringhiai, buttandomi di peso sul divanetto addossato al muro del camerino.

«Non è così che funziona e lo sai!» tuonò Mjol. «Sei stato tu a proporti per il torneo. La Profezia…»

Scollegai il cervello mentre la voce della maga continuava a riempire l’ambiente di delucidazioni, rimproveri e chiacchiere saccenti.

Non avevo bisogno di starla a sentire per sapere di cosa stesse parlando: il torneo – il fottuto torneo – a cui avevo deciso di partecipare per ripicca, spinto dallo stupido orgoglio che ogni tanto si decideva ad alzare la testa.

Un torneo tra Pantheon, in cui tutti i più eccelsi combattenti avevano partecipato e solo quattro tra di essi, quelli migliori, avevano vinto.

Sì, avevo vinto.

Il Pantheon Norreno aveva avuto un bel po’ da ridire sulla mia vittoria, forse perché non ero un vero dio, forse perché non incarnavo le vesti del combattente senza macchia e senza difetti, o forse perché da quando, secoli prima, avevo voltato le spalle a quei cialtroni, non avevo più voluto avere a che fare con loro.

Doveva essere stato un trauma per Odino e il resto della combriccola, per non parlare della mia famiglia, ritrovarsi un reietto come me a rappresentarli.

Di certo io non avevo deciso di partecipare spinto dall’onore e dalla voglia di salvare il mondo.

Tutto il contrario, semmai.

Se non fosse stato per Mjol, che un giorno di maggio si era presentata a casa mia farneticando su una profezia e la fine del mondo, probabilmente me ne sarei sbattuto come avevo fatto con tutte le altre cose che riguardavano la mia gente… ex gente.

C’era voluto un testo tramandato nei secoli, e in parte distorto, per convincermi a mettermi in gioco. C’era voluta la prospettiva di uno scenario apocalittico, e la possibilità di essere uno tra i quattro migliori combattenti e di venire osannato, per spingermi a intervenire.

E tutto solo per mostrare a coloro che per secoli avevano finto che io non esistessi più che in realtà ero sempre Kári, figlio di Fornjótr e personificazione del vento.

Avevo dimostrato non solo che ero ancora lì, ma anche che potevo fargli il culo come e quando volevo.




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Benvenuto!

Il mio umore aveva subito una brusca impennata, finché non mi ero scontrato con il malcontento di tutti.

Era stato a quel punto che avevo deciso che il mondo intero poteva andare a farsi fottere ed ero tornato alla mia vita di sempre.

Come dicevo: alcol, sesso e rock’n’roll.

Ora, Mjol, da brava pronipote assennata, stava tentando di riportarmi sulla retta via.

«Tempo scaduto» dichiarai balzando in piedi e interrompendo il flusso di parole della donna.

«Il Pantheon non è felice.»

«Me ne frego e lo sai anche tu.»

«Stai mettendo i tuoi stupidi capricci di fronte alla sicurezza del mondo intero. Nessuno ti ha chiesto di partecipare al torneo.»

«Ma se sei stata proprio tu a venire a scovarmi nel mio covo per…»

«Covo!» strillò lei stizzita. «Cosa sei, il cattivo della fiaba?»

Rivolsi il mio sguardo cupo verso Mjol, mentre afferravo un asciugamano per tamponarmi il sudore che ancora mi ricopriva il corpo.

«Ho sbagliato a partecipare a quel torneo, Mjol, e lo sai anche tu.»

«Non sei orgoglioso di aver vinto?»

«Certo che sì, ma questo non significa che dentro di me ci siano istinti suicidi e di sicuro non sono affetto dalla Sindrome dell’Eroe.»

La donna mi fissò truce per un istante, era chiaro che stava cercando le parole giuste per convincermi ancora. La mia aria seria e impenetrabile, però, dovette farla desistere.

«Non finisce qui e lo sai anche tu» arricciò il naso contrariata.

«Non è vero.»

Sul volto della donna comparve un sorriso sarcastico.

«C’è un motivo per cui sei stato proprio tu a vincere il torneo. C’è un motivo per cui la Profezia parla di te, Kári» profetizzò. «La Renna rincorrerà il canto quando giustizia e lealtà si riuniranno nel freddo della terra.»


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Benvenuto!

Sentir recitare un tratto della Profezia mi fece irrigidire ancor di più, ma Mjol scomparve prima che io potessi ribattere alcunché.

La Renna. Il mio simbolo. Non poteva che riferirsi a me. Cosa significasse l’accozzaglia di parole che seguivano era per me un mistero e tale sarebbe rimasto.

Con stizza, mi precipitai nel bagno adiacente il camerino, sbattendo la porta. La mia scopata era andata a monte, ma l’adrenalina continuava a far ballare il mio corpo. Mi sarei accontentato di una doccia e di una sega prima di andare a cercare un’altra groupie ben disposta con cui fare festa.

Fanculo la Profezia.

Fanculo il Pantheon.

E fanculo il mondo intero.



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Vuoi conoscere il seguito?




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Non perdere l’occasione di conoscere questo meraviglioso gigante norreno!


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